Anche quest’anno sono stato allo SMAU di Milano, la più importante fiera italiana sull’ICT (Information and Communication Technology), che si tiene ogni anno alla fine di ottobre. Nato nel 1964 come Salone delle Macchine e Attrezzature per Ufficio, questo evento permette alle imprese, agli enti pubblici e agli addetti ai lavori di conoscere lo stato dell’arte delle tecnologie presenti sul mercato, le loro applicazioni e le opportunità per il loro sviluppo. Con grande orgoglio personale, ogni anno vi trovo rappresentata molta Calabria, specialmente da giovani della mia età che presentano idee imprenditoriali innovative e originali, a dimostrazione che in un territorio senza un tessuto imprenditoriale robusto né abbondanza di risorse e infrastrutture, l’informatica e la creatività possono rappresentare l’accoppiata vincente per rilanciare l’economia. Non a caso, da quest’anno, tra le tappe dello SMAU Roadshow (che porta l’evento anche in varie città italiane) c’è anche Lamezia Terme.
Andando in giro per i due piani di padiglioni espositivi della FieraMilanoCity, si possono incontrare le principali aziende internazionali che presentano i propri prodotti e servizi, le piccole startup che cercano di farsi spazio nel mercato sfruttando idee, agilità e competenze alla ricerca dello sponsor giusto, enti pubblici che illustrano le proprie esperienze innovative e gli strumenti messi a disposizione per favorirne la nascita, innovatori che mostrano strumenti apparentemente fantascientifici (ma che un domani potrebbero essere nelle case di tutti). Descritto così sembra un covo per nerd, lo so. Anche la parola “nerd”, a dirla tutta, la usano solo loro. Ma la diffusione capillare di queste tecnologie, sopratutto negli ultimi anni (grazie agli smartphone e alle reti mobili), impedisce ormai a chiunque di ignorarle, anche ai più accesi sostenitori del “si stava meglio senza tutti questi aggeggi” (e che magari lo scrivono su Facebook col proprio iPhone).
Per fare un po’ d’ordine nel mare magnum di quello che ho visto quest’anno, ho deciso di pubblicare un piccolo dizionario che illustri i concetti principali di questo mondo, rigorosamente in ordine alfabetico, a beneficio anche di quelli che sentono o leggono questi termini e si trovano costretti a sfoggiare l’espressione di circostanza per fingere di aver compreso tutto. Magari, da domani, potrete smascherare qualcuno che ne sa quanto voi e usa quei termini a mo’ di “supercazzola“!
app: abbreviazione di “applicazione”, è un programma che si installa sul vostro smartphone/tablet; a differenza di un sito web, una app tende a fare meno cose (ha meno funzioni, quindi è facile da utilizzare), a memorizzare i dati dell’utente (evitando così di chiedere username e password a ogni accesso) e a utilizzare meno la rete (i dati scaricati durante l’utilizzo sono ridotti all’osso e il programma è visibilmente più “veloce”); sempre a differenza dei siti web, una app deve essere sviluppata più volte, una per ogni sistema di destinazione (iOS, per i dispositivi Apple, WindowsPhone, per i Nokia, e Android, per quasi tutti gli altri produttori).
beacon: è un oggettino che, grazie al bluetooth, riesce a far orientare gli smartphone anche all’interno degli edifici (ottenendo una precisione maggiore al GPS laddove i satelliti sono molto meno efficaci); posizionandoli nelle stanza di un museo, ad esempio, si permette a una app di sapere in che stanza ci troviamo (e mostrarci quindi solo le opere che abbiamo di fronte), oppure permettono di usare il navigatore per trovare un particolare negozio all’interno di un grande centro commerciale.
big data: moli enormi di dati che vengono generati dalla nostra attività in rete (post sui social network, navigazione in rete, acquisti online), anche involontariamente (probabilmente in questo momento il vostro telefonino sta registrando la vostra posizione geografica, l’orientamento nello spazio e i movimenti e rotazioni effettuati, per metterli a disposizione delle app che avete installato); l’analisi e l’incrocio di tutti questi dati con particolari tecniche permette di estrapolare comportamenti, abitudini, gusti, preferenze e persino a predire le azioni future degli utenti (tutte informazioni che fanno gola a chi si occupa di marketing).
cloud computing: il vostro telefonino è molto potente (sicuramente ha un processore migliore della navicella che nel 1969 portò l’uomo sulla luna), ma non potrebbe fare tutto quello che fa se non si connettesse in rete con un numero inimmaginabile di server sparsi per il mondo; questi server permettono a tutti quelli collegati di disporre di una quantità di risorse (memoria, capacità di calcolo, dati) enorme, flessibile (poichè condivisa da tanti, una stessa risorsa può essere utilizzata da diversi utenti in momenti diversi) e trasparente (nel senso che l’utente non ha bisogno di sapere dove si trovino realmente le risorse che usa, nè come funzionino – purchè funzionino -, proprio come se fossero avvolte da una nuvola – il cloud, appunto).
domotica: con l’Internet delle Cose (o IoT, vedere voce apposita) potremo interagire con ogni oggetto della nostra casa anche a distanza (non solo con un telecomando, ma anche con lo smartphone): potremo, quindi, chiudere le finestre con una app, programmare il termostato con il computer o addirittura accendere i riscaldamenti già un’ora prima di arrivare a casa, per trovarla già calda d’inverno limitando al massimo i consumi.
e-commerce: il commercio elettronico è ormai una realtà diffusa, che permette ai venditori di ampliare il proprio mercato con costi contenuti e ai compratori di ampliare la propria scelta e la possibilità di trovare il prezzo migliore di ogni prodotto; i limiti dovuti alle difficoltà nel trasporto della merce e alla sicurezza dei pagamenti elettronici diminuiscono di giorno in giorno, e la vendita online si affianca ormai naturalmente a quella in negozio: ci si trova spesso a cercare un prodotto online per andare a comprarlo in negozio, così come succede di andare a valutare un prodotto dal vivo in negozio per poi acquistarlo online al miglior prezzo. (BONUS: sull’argomento sono anche stato intervistato da Aruba a margine di una loro presentazione)
fatturazione elettronica: ecco un esempio di come la Pubblica Amministrazione possa aprire nuovi mercati e favorire l’innovazione nel settore privato: l’introduzione dell’obbligo di fatturazione elettronica (dall’anno prossimo), già annunciato da diversi anni (io stesso me ne occupavo come progettista software già nel 2007), ha portato molte aziende a creare soluzioni in merito, che spesso includono anche programmi di gestione dei flussi documentali e conservazione digitale sostitutiva di documenti; oltre all’ovvio vantaggio per i produttori di questi programmi, molte imprese si troveranno a fare questo investimento per ricevere pagamenti da un ente pubblico e ad avere, di conseguenza i vantaggi di una gestione informatica e organizzata dei documenti aziendali.
IoT (Internet of Things): l’automazione degli oggetti presenti nelle nostre case non serve solo a inviare loro comandi via internet; dotandoli dei sensori giusti e collegandoli alla rete, gli oggetti possono inviare dei dati (che si aggiungeranno ai big data, vedere voce) e interagire direttamente coi proprietari: il frigo potrebbe avvisarci sui prodotti in scadenza o mancanti quando siamo al supermercato, le piante potrebbero comunicarci con un SMS la necessità di essere annaffiate e la caldaia potrebbe chiamare direttamente il tecnico in caso di guasto, descrivendogli la situazione meglio di come sapremmo fare noi.
mobile (leggasi “mobàil”): la diffusione degli smartphone (ormai superiore a quella dei computer) e le loro caratteristiche (non solo calcolatori potenti, ma anche portatili e dotati di un numero sempre maggiore di sensori) ne fanno senza dubbio l’ambito più fertile per lo sviluppo di applicazioni (vedere la voce app); per questo oggi non c’è produttore o utente che non sia interessato alla versione mobile del proprio business: la crescita esponenziale di questo mercato in questi anni ne fa un vero e proprio eldorado per gli sviluppatori (richiestissimi pur in questo momento congiunturalmente pessimo dal punto di vista economico).
NFC (Near Field Communication): si tratta della comunicazione di prossimità, probabilmente già attivabile sul vostro smartphone, che fa sì che la connessione si attivi solo quando trasmettitore e ricevitore si trovano a pochi millimetri di distanza; è così, ad esempio, che funzionano i lettori di tessere per accedere alla metropolitana di Milano (che sono degli RFID, vedere voce), ed è su questa tecnologia che si stanno sviluppando i nuovi metodi di pagamento elettronico (con cui, alla cassa, anziché strisciare o inserire il bancomat, appoggerete il telefonino e digiterete sullo schermo il vostro PIN).
realtà virtuale (VR, Virtual Reality): si tratta di un ambito molto avveniristico (ancora da fantascienza, nell’immaginario collettivo) ma per il quale si è probabilmente prossimi a un punto di svolta: i dispositivi che permettono di immergerci in una realtà digitale, che fino a poco tempo fa costavano decine di migliaia di euro, sono ormai disponibili al costo di uno smartphone (di fascia alta, però!); anzi, se avete già un buon telefono e la passione per il fai da te, potreste avere un paio di occhiali per la realtà virtuale a meno di 20 euro, seguendo le indicazioni del progetto Google Cardboard! Le applicazioni vanno dalle visite turistiche virtuali alla presentazione di progetti architettonici (non tutti sanno che la app del catalogo IKEA è già in realtà virtuale).
RFID (Radio Frequency IDentification): è una tecnologia che, accoppiata agli NFC (vedere voce) permette di interagire con gli oggetti semplicemente applicandovi un adesivo; questo adesivo, che non ha bisogno di alimentazione elettrica, permette a un dispositivo NFC di “riconoscere” l’oggetto che ha davanti e agire di conseguenza. E’ così che potremo usare il telefonino come registratore di cassa (applicando l’RFID ai prodotti), o avviare il navigatore appena saliamo in macchina (applicando l’RFID al portacellulare), o aprire la porta di casa senza chiavi (applicando l’RFID alla maniglia).
startup: ultima in ordine alfabetico ma non certo per importanza, la startup è da qualche anno la protagonista assoluta dello SMAU; questa forma di impresa, in cui giovani creativi di talento e con delle idee valide vengono aiutati (con finanziamenti ma anche con aiuti pratici su tutti gli aspetti dell’imprenditoria) a creare la propria azienda è probabilmente il regalo più grande che il mercato dell’innovazione possa fare all’economia italiana. Attenzione però, a non cadere nell’inganno di credere che startup sia sinonimo di successo: sebbene l’entusiasmo e le idee degli startupper possano dare una marcia in più alla loro attività, non sempre riescono a decollare nel mercato una volta finito il cosiddetto periodo di incubazione. Se però si guarda oltre all’aspetto puramente economico e si valuta il risultato formativo e di sistema di questi incubatori, si vede subito qual è il vantaggio: le grandi aziende hanno accesso a nuove idee e a nuove risorse umane da formare, mentre i ragazzi hanno un’opportunità reale di sviluppare le proprie idee e mettere a frutto le proprie conoscenze e passioni. Alla fine, comunque vada, scopriranno che l’idea è sì il punto di partenza indispensabile per mettersi in gioco, ma da lì fino al successo manca ancora il 99% dell’opera.