Qualche giorno fa ho avuto la possibilità di visitare la mostra “Mattia Preti. Della fede e umanità“, che si teneva a Taverna, bellissimo paese della presila catanzarese dove l’artista nacque nel 1613, esattamente 400 anni or sono. Per me è stata un’ottima occasione per rinfrescare le conoscenze su questo mio illustre conterraneo: già nel 1999, infatti, ero a Catanzaro quando il capoluogo celebrava il tricentenario della morte dell’artista con la mostra “Mattia Preti, il Cavaliere Calabrese“, presso il complesso monumentale del San Giovanni. Ora, se vi siete persi la mostra di Taverna (che chiudeva il 21 aprile), vi conviene valutare l’opportunità di fare un salto a Malta, dove l’esposizione di opere provenienti da vari luoghi (dal Prado di Madrid al Louvre di Parigi, dal Museo di Capodimonte di Napoli alla Pinacoteca di Brera di Milano, dai Musei Vaticani agli Uffizi di Firenze) si trasferisce dal 4 maggio al 7 luglio.
Mattia Preti, da buon calabrese, fu anche un instancabile viaggiatore: nato, come ho già detto, nella Sila Piccola, si trasferì diciassettenne a Roma dal fratello Gregorio, che già faceva il pittore, e lì iniziò ad apprendere le tecniche dell’arte barocca e a viaggiare alla ricerca di ispirazioni. Oltre all’evidente richiamo alla tecnica del Caravaggio (che era morto nel 1610), un suo grande maestro fu certamente il Guercino. In seguito, si trasferì anche a Napoli, dove affinò la propria tecnica confrontandosi con la scuola pittorica del posto, e infine andò a vivere a Malta fino alla fine dei suoi giorni. Negli ultimi anni della sua vita ebbe modo di tornare diverse volte nel suo paese natìo, nelle cui chiese ha lasciato degli affreschi magnifici, molti dei quali oggetto di recente restauro.
La sua pittura, come si vede nel Cristo Fulminante qui accanto (conservato nella chiesa di San Domenico a Taverna), è la massima espressione del barocco: la scenografia è imponente, fatta apposta per colpire lo spettatore (se fosse vissuto oggi, Mattia Preti sarebbe diventato un fotografo pubblicitario alla Oliviero Toscani, probabilmente…), i colori sono scelti per creare il massimo contrasto possibile tra il chiaro e lo scuro, le figure hanno tutte una consistenza che va ben oltre la tridimensionalità. Anche ciò che non ha corpo (come le nuvole o i fulmini) viene dipinto come se fosse solido e palpabile. Non c’è posto per le metafore o le idee, nei suoi quadri tutto ha un corpo, si arriva persino al rebus: se tornate a guardare l’opera di fianco noterete come vicino a San Domenico, in rappresentanza dell’ordine dei “domenicani” c’è un cane che porta in bocca la fiaccola con la luce divina (ossia, un “cane di Dio“, in latino “Domini canem“). Allucinante, non si può non restarne rapiti.
Un altro tratto caratteristico della biografia di Mattia Preti, che ne fa ancor di più un calabrese DOC, è la sua continua aspirazione a diventare qualcuno di importante e riconosciuto: il suo soprannome (Cavalier Calabrese) è dovuto al fatto che, durane il soggiorno romano, riuscì a farsi investire da papa Urbano VIII “Cavaliere d’Onore e Devozione del Sovrano Militare Ordine di Malta“. Andava così fiero di questo titolo onorifico che nei suoi vari autoritratti si dipingeva sempre con il pennello in una mano e la spada nell’altra.
Beh, nonostante le mie scarse conoscenze artistiche spero di avervi trasmesso almeno una parte delle emozioni che queste opere mi hanno dato.. e la prossima volta che vi troverete in Calabria, magari per una vacanza su quelle splendide spiagge che ci sono, prendetevi almeno una mezza giornata per visitare Taverna e la Sila: oltre alle bellezze artistiche e paesaggistiche, vi aspettano delle specialità gastronomiche eccezionali!